Palermo, maglie da Paradiso e campionato d’inferno. E il pallone? Lo porto io

FOTO PEPE / PUGLIA

Un tempo il Palermo era fasti e stupenderie. Sembra ieri che fornivamo alla nazionale un mucchietto di calciatori niente male per vincere il mondiale più collettivo (definirlo comunista, con tutti i cortocircuiti che questa parola porta adesso, direi di no) e di squadra mai visto: dalla A alla Z, Amelia e Zaccardo, passando per la B, Barzagli, Barone, poi Grosso e Toni.

Sembra ieri che castigavamo la Juve col Carneade Cassani. Eppure… Il Palermo che ci troviamo davanti ha fatto come certi imbonitori che fanno credere che vada tutto bene salvo poi scappare con il malloppo. Mi spiego: sono due anni che nel campo dell’apparenza la facciamo da padroni: maglie meravigliose che sanno di radici e modernità, accolte con plausi, comunicazione social bella e accattivante. Sono però due anni che quelle maglie meravigliose vengono riempite da calciatori che pur bravi non sanno di organico.

L’impressione che si ha, guardando le partite del Palermo, è la stessa di quando da ragazzini “scattiavamo” il gol. Io leggo, quando non vedo le partite, i martiri Amenta & Ferrara che quasi ogni maledetta domenica dopo aver recitato i mea culpa del tipo “siamo all’inferno, signori miei”, quasi con la voce di Al Pacino, si buttano in pagelle in cui c’è da valutare una fragile consistenza. Da due anni il Palermo non comunica sicurezza, non profuma di corazzata, non minaccia di uccidere il campionato. Lo si ama perché l’amore non si nega mai figuriamoci a un agonizzante.

Ma l’impressione è di essere un po’ come la Longobarda del paron Borlotti. Non sembra ci sia tutta questa voglia di frequentare se non l’attico del calcio, almeno i piani più referenziati. Non sembra ci sia questa voglia di aumentare i millesimali dell’ascensore per salire di grado. Infatti si gioca come i ragazzini nel piazzale del condominio. Senza meta e sperando prima del tramonto di scattiare un gol. Sembra proprio lo slogan di Borlotti. Perdere. E perderemo. Ci vediamo giù. Il pallone lo porto io.

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8 thoughts on “Palermo, maglie da Paradiso e campionato d’inferno. E il pallone? Lo porto io

  1. Ottime riflessioni!
    Già, sembra un sogno, ma che sia stata realtà lo dimostra fino ad oggi la presenza di giocatori come Emerson o Trajkowsky, che suscitano ancora malinconia.
    Quello era il Palermo, oggi si chiama anche Palermo ma è una squadretta senza rilevanza, ma che tanti ancora, solo perché legati ai bei ricordi e al colore della maglia, non rinunciano a illudersi che sia ancora quello di prima.
    Spero ci sia una svolta, ma radicale e senza “le presenze” attuali.

    1. Emerson che a Palermo non giocò praticamente mai e Trajkowski che fu uno dei più contestati di uno dei Palermo più contestati solo perché non arrivava più ai primi posti della serie A….però quando c’era lui signor lei…

      1. l’osservazione è sul diverso livello su cui bazzicava quel Palermo, al di là di come venivano valutati allora quei giocatori

  2. Ha ragione!. Per fortuna , ieri sera, ci siamo lustrati gli occhi con la Nazionale! Altro che Palermo, anzi, chiedo scusa, la Longobarda!.

  3. Beh, forse sarebbe il caso di scegliere meglio la citazione, specie se riguarda un film caro a tutti gli appassionati di calcio. Potrei permettermi di consigliare un vero esperto di cinema che frequenta questo sito. Il presidente Borlotti ingaggia il mitico Oronzo Canà, teorizzatore della celebre bi-zona e del modulo 5-5-5, per retrocedere in B ritenendo la Serie A troppo costosa. Considerato che a quei tempi il “paracadute” (non quello di Leonardo da Vinci, ovviamente) non era stato ancora inventato, direi che forse il parallelo con la gestione del Palermo andrebbe retrodatato di qualche anno. Quando persino i commentatori vedevano le partite.

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