“Quel 5 maggio, una laurea in vita vissuta”. Lazio – Inter raccontata da Marco Romano

(g.m.) Grazie di cuore a Marco Romano, giornalista, 48 anni, da oltre un anno vicedirettore responsabile del Giornale di Sicilia, interista da sempre. La sua prestigiosa firma arricchisce la qualità del nostro giornale che non racconta soltanto le cose del Palermo. E in questo caso racconta non solo di calcio, perchè quel Lazio – Inter del 5 maggio 2002 è una pagina irripetibile di vita, “melodramma, passione ed estasi”. Buona lettura.

Mettiamo subito le cose in chiaro: noi di “quel” 5 maggio ce ne facciamo un vanto. È la nostra stella cometa, la nostra prova di sforzo, il nostro antidoto alla sofferenza, la nostra laurea in vita vissuta. La cicatrice da mostrare orgogliosi agli amici. E non credete mai a un interista che dovesse dirvi di voler cancellare per sempre quel doloroso giorno: mentirebbe spudoratamente (o non è un interista). Era l’Olimpico, era l’ultima di campionato, c’erano la Lazio amica e le tifoserie gemellate. Dovevamo solo vincere. Era una bazzecola, una passeggiata. Lo scudetto era ormai nostro. Lo scudetto andò alla Juventus. Ovviamente.

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Stasera torniamo all’Olimpico. È sempre l’ultima, c’è sempre la Lazio, dobbiamo vincere (stavolta per ritornare in questa stramaledetta Champions). Ma se pensate che serva questo per rinverdire in noi “quel” 5 maggio, le lacrime di Ronaldo, la furia di Poborsky, l’iconico Gresko, siete fuori strada. Noi ce lo abbiamo cucito addosso. Più di uno scudetto. Perfino più del nostro irraggiunto triplete. Otto interisti su dieci ricordano subito un 22 maggio. Undici su dieci, all’istante, “quel” 5 maggio. Abbiamo avuto più di un’occasione per metabolizzare, lì all’Olimpico, compreso qualche anno dopo un gol di Samuel centravanti per caso, i tifosi della Lazio ad esultare con noi, ciao Roma e scudetto.

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Ma è solo cura palliativa. Siamo refrattari. “Quel” giorno ero, eravamo, lì. Vi ha già raccontato tutto Francesco Massaro (LEGGI QUI). Io, spero mi perdonerà se lo scrivo, lo vidi piangere. Non a fine partita, no, macché. Prima di cominciare, lì sugli spalti tinti di nerazzurro in un assolato pomeriggio di primavera romana. Ma non chiedetemi di dirvi perché. Ho sempre avuto un sacro rispetto per quelle nobili lacrime, che da poco più di un anno a questa parte sono anche le mie. Perché l’avevamo dentro.

Ne abbiamo vissute tante insieme, appresso a questi favolosi disgraziati colori. Eravamo nell’infuocato Mestalla della grande rissa finale, eravamo nello scalcagnato Velodrome di un Ranieri deprimente, ci imbucammo in tribuna nella superba Allianz Arena di un Bayern – Inter di Champions come portoghesi qualsiasi (con sommo scorno dei tedeschi precisi e perfettini), c’eravamo in un derby di Coppa Italia a San Siro di cui intuimmo solo lo 0-3 finale, completamente immersi nella nebbia. Questo e tanto altro.

BUFFON, LA STANDING OVATION DELLO STADIUM /FOTO/VIDEO

Ma, per favore, non toccateci “quel” 5 maggio. Oggi è ancora l’ultima, l’Olimpico, la Lazio, una grossa posta in palio. Ma non c’entra nulla. “Quel” 5 maggio fu lirica, melodramma, ode (Manzoni chi?), passione, tormento ed estasi. Nulla a che vedere con le banalità di un pallone. Perché, come disse il nostro Sommo Vate, chi sa solo di calcio non sa niente di calcio…


4 thoughts on ““Quel 5 maggio, una laurea in vita vissuta”. Lazio – Inter raccontata da Marco Romano

    1. Se pubblicare un bel pezzo di calcio di un bravo giornalista significa essere “strisciato” sono anch’io strisciato. Lei, quando le capita di vedere una partita di calcio che non è del Palermo che fa, cambia canale?

  1. Il punto è, caro Guido, che se accendi la televisione a qualsiasi ora del giorno e della notte senti parlare delle strisciate, come se tutte le altre servissero solo per il godimento dei loro tifosi. Quando eravamo in A e giocavamo contro le strisciate io, da abbonato SKY, avevo la scelta: o andare in bestia ascoltando il commento “neutrale” oppure ridere ascoltando la telecronaca tifosa. Per verificare quanto affermo basta andare su You Tube, cercare la sintesi di una qualsiasi Juve-Palermo o Inter-Palermo e valutare comparativamente i decibel raggiunti dalle voci dei commentari in occasione dei gol. Ma il divertimento massimo lo raggiungevo ascoltando il cronista-tifoso del Napoli, quello che chiamava Hamsik “Marekiaro” e Koulibaly “Funiculì”. Per il resto, solo nervi. Cosicchè mi domandavo se i miei soldi valessero meno di quelli di uno strisciato e il mio dito indice andava dritto verso il tasto “mute” del telecomando del mio TV. Lasciateci uno spazio, almeno qui, “strisciato-free”. Saluti rosanero.

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