Fantacalcio rosa: azionariato popolare, i cinesi e… la dura realtà

Chi decide di fare il giornalista sportivo, a Palermo più che in ogni altro posto del mondo, sa bene che ci sono (almeno) tre pene tremende con le quali imparare a convivere. La prima è di essere considerati ricchi, la seconda è di essere chiamati “giornalai” e la terza è: “Glielo dovete dire a Zamparini…!”.

Tra i tanti appelli ascoltati di recente, uno suonava più o meno così: “Ditegli al friulano che il Palermo lo deve vendere a noi”. Ovviamente, chi mi parlava non aveva né gli occhi a mandorla (a proposito, che fine hanno fatto i cinesi?) e né aveva l’aspetto di un facoltoso uomo d’affari. Era solo un simpatico cameriere – tifoso che parlava di azionariato popolare, di come con 30 milioni di euro “si compra la società, si fa il calciomercato per come si deve e si risolvono tutti i problemi”. Lo stesso Zamparini, qualche mese addietro, si era dichiarato ben lieto di accettare la stessa cifra da 30mila benefattori rosanero in cambio del 30% delle quote: mille euro a cranio, vale a dire 50 euro al mese per poco più di un anno e mezzo.

“Tutto molto bello”, come direbbe il caro Pizzul, ma questo non è azionariato popolare: è una colletta, oltre che una provocazione bella e buona. Insomma, soldi senza partecipazione. Praticamente l’opposto della natura associativa con la quale il fenomeno si è diffuso e ha attecchito in Germania, Spagna e Inghilterra. Quelle esperienze ci insegnano come l’azionariato popolare debba nascere dal basso, in modo totalmente indipendente, senza influenze esterne. È un modello virtuoso di gestione che punta sui vivai giovanili, sulle infrastrutture, spesso anche su attività che esulano dal mondo del pallone e da tutti i meccanismi diabolici che ormai stanno dietro alle società professionistiche.

In Germania, ad esempio, non è una rarità imbattersi in una bocciofila o in un campo di tiro con l’arco del St. Pauli piuttosto che del Borussia Dortmund. Si parla quindi di “Supporters Trusts”, una grande comunità di gente che vive l’esperienza sportiva a 360 gradi e 12 mesi l’anno. Non un semplice club di tifosi, insomma.

Immaginate adesso di esportare questi modelli in una realtà come quella palermitana, dove il tifo è frammentato, ridotto ormai ai minimi termini, unito dall’amore verso i colori rosanero ma anche da un viva critica verso la gestione zampariniana. Immaginate di chiedere 50 euro al mese a un tifoso che normalmente, e in alcuni casi legittimamente, si rifiuta di spenderne 15 per comprare il biglietto. Fantascienza. E poi come la mettiamo con Zamparini, da sempre incrollabile “uomo solo” al comando? Ce lo vedete il presidente rosanero sottoposto a una qualsivoglia forma di controllo sul calciomercato o sulla gestione dello staff tecnico? Io francamente no. Si verrebbe a creare, per assurdo, una situazione di totale anarchia. Esattamente l’opposto di ciò di cui il Palermo ha bisogno adesso, ovvero certezze, risultati e divertimento. Non c’è più tempo per prendersi in giro (o per prendere in giro). Meglio volgere lo sguardo ad Oriente e sperare che un benefattore decida di fare “il ricco scemo”, per dirla come Giulio Onesti. E che da queste parti si torni ad ammirare le stelle.


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