Il Palermo e lo stadio, comincia la partita tra calcio e politica

Era inevitabile, poco meno di un anno fa, essere facile profeta. Quali erano le “profezie”? Soprattutto due. La prima: una società in cui c’è una maggioranza al 60% e una minoranza al 40% è destinata ad avere equilibri sottili, soprattutto se non ci sono precisi accordi scritti. La seconda: calcio e politica non parlano la stessa lingua, seguono interessi e percorsi che a volte coincidono ma talvolta no. E prima o poi qualche grattacapo arriva. E non è mai una bella notizia per i tifosi.

Chiarisco subito un principio: non sono un profeta ma solo uno che ha seguito da vicino gli ultimi 50 anni di storia rosanero. E, se l’esperienza insegna qualcosa, basta guardare al passato. Chi ha una certa età sa bene come il Palermo, tra gli anni ‘60 e ‘90, sia stato un posto di “sottogoverno” nelle mani della Democrazia Cristiana. Poi c’è stata la radiazione e la rinascita, il “legame indissolubile” certificato da una sponsorizzazione decennale, da aiuti più o meno cercati e più o meno ottenuti, e – anche allora – da uno stadio affidato in concessione, fonte di cicliche diatribe circa gli oneri di manutenzione. Un andazzo che solo la quindicennale gestione Zamparini ha quasi del tutto spazzato via.

Bastava ripassare la storia per intuire alcuni rischi. Della diatriba tra il “gruppo Mirri” e Tony Di Piazza abbiamo già scritto abbastanza nei giorni scorsi. Ora è il caso di dare un primo cenno alla vicenda stadio, argomento che fa parte a pieno titolo di un “accordo” più generale che, attraverso l’avviso pubblico, avrebbe collegato l’amministrazione comunale alla società aggiudicataria.

La vicenda della concessione dello stadio, all’apparenza, si preannuncia più “politica” che “economica”. C’è una minoranza che a Palazzo delle Aquile potrebbe cavalcare i ritardi dell’amministrazione nel predisporre la fatidica convenzione per mettere in difficoltà la maggioranza “orlandiana”.
Chi paga lo stadio per la stagione 2019-2020? E quanto? E quando? E chi ha autorizzato la vendita degli spazi pubblicitari esterni? Si configura danno erariale? E la mancata utilizzazione dello stadio per colpa del Covid darebbe diritto a uno sconto? Ecco le domande che girano nei corridoi della politica.

L’unica verità, al momento, è che non c’è una convenzione firmata che regola i rapporti tra Palermo e amministrazione comunale (è circolata finora solo una bozza). Quando nello scorso agosto Orlando, consegnò lo stadio a Hera Hora che aveva vinto il bando, tutti pensavano a un atto ufficiale “equo” da predisporre in poche settimane. Invece sono passati nove mesi (non sappiamo se ci sono stati solleciti ufficiali) e da allora sono anche cambiati alcuni equilibri politici in uno scenario in cui fai sempre fatica a capire chi sono i buoni e chi i cattivi, chi quelli furbi e chi quelli ligi alle regole.

L’avviso pubblico per l’assegnazione del titolo sportivo di serie D disciplinava l’argomento stadio nella sezione relativa alle “dichiarazioni sostitutive di certificazione e di atto di notorietà” con l’articolo 4, che imponeva esplicitamente alle società partecipanti “di conoscere e accettare le tariffe e le condizioni generali attualmente vigenti” previste dall’ultimo contratto dell’aprile 2011. Nello stesso comma, però, era stata inserita una frase che poteva e può aprire spazio a equivoci: “salvo successivi adeguamenti o modifiche, in conformità a valori patrimoniali e legislazione vigente”. Cosa vuol dire questa frase? Il Palermo dà una sua interpretazione (ognuno fa il suo mestiere), ritenendo che una società dilettantistica non può certo accollarsi una cifra onerosa di 341 mila euro + Iva; altri dicono che le condizioni erano chiare e che questo Palermo deve pagare come e quanto il vecchio Palermo; e c’è anche chi fa rilevare che la commissione di valutazione tecnica – appena tre mesi fa – ha previsto un leggero adeguamento del corrispettivo, alzandolo di qualche migliaio di euro, e che sarebbe questo il riferimento a “successivi adeguamenti o modifiche”.

I tempi del calcio non sono quelli della politica, e su questo l’amministratore delegato Sagramola ha ragione da vendere. Ecco quindi che il dovere di buon amministratore gli ha suggerito una ricognizione preventiva su altri impianti. Ma se la storia – come dicevo – insegna qualcosa, sarei pronto a scommettere che il Palermo giocherà la serie C nel suo stadio, senza troppo bisogno di minacciare platealmente l’emigrazione in altri Comuni. A nessuno conviene che il Palermo lasci la propria casa (non conviene al Palermo ma nemmeno al Comune che manderebbe in malora anche quest’impianto). Già questa settimana nell’aula consiliare (virtuale) potrebbe cominciare la partita politica in un clima non particolarmente disteso. E difficilmente ci sarà un vincitore.

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