Quelli del “Club Vitogol”… Chimenti e gli altri, palleggi in Paradiso
In questi giorni di lutto per la famiglia rosanero, in tanti mi hanno chiesto l’origine della scelta dello pseudonimo con il quale da anni tedio, qui e altrove, chi mi legge. Restando ai miei idoli, forse avrei potuto scegliere “Stecco”, con cui condividevo ruolo in campo e giorno di nascita; oppure “Mudo”, l’ultimo amatissimo poeta di una stagione sfiorita troppo in fretta.
Avevo più o meno vent’anni negli anni in cui la Palermo rosanero, che conviveva meglio di adesso con quella strisciata, impazziva per le biciclette del vero Vitogol. Un’età in cui non sei più un ragazzino, ma non sei ancora uomo; l’età delle scelte che condizionano tutto il resto della vita. Non ancora oberato dagli impegni, con qualche chilo in meno e tanti capelli in più, passavo molto più tempo di quanto non avrei mai più fatto in futuro tra i campi del Circolo del Tennis, uno dei miei “luoghi del cuore”. Il posto in cui mio padre, nato nel 1923 e socio dal 1936, conobbe mia madre.
Allora come adesso, era consuetudine incontrarci al Circolo con gli altri consoci di fede rosanero, prendere un caffè insieme e passeggiare verso i nostri posti di Gradinata ingannando l’attesa della partita con discussioni calcistiche che spesso sfociavano in fiere“sciarre” pronte a esaurirsi al fischio d’inizio per poi riprendere, tali e quali, più o meno dopo due settimane. Fu così che maturammo l’idea di organizzare un po’ meglio il nostro sostegno alla squadra creando un club che, manco a dirlo, intitolammo al giocatore che più di ogni altro era capace di farci sognare l’agognato ritorno in Serie A. Tanta passione, quattro tamburi usati, uno striscione prodotto artigianalmente su uno scampolo di pezza rosa regalataci da un negoziante tifoso di Via Sant’Agostino, alcune ugole di pregio ed ecco il Club Vitogol.
Mio fratello Ciccio, l’altro mio fratello Gabriele, Maestro di Tennis e di vita che ci ha appena lasciati. E poi tanti altri illustri ex-ragazzi: Giorgio Matracia, figlio di Totino e fratello di Roberto, storici medici del Palermo; Daniele De Giovanni, ex consigliere di Romano Prodi; Biagio Bossone, dirigente della Banca Mondiale; Nino Di Matteo, in un tempo sereno in cui poteva ancora venire allo stadio con noi, piuttosto che andarci su un’auto blindata circondato da angeli custodi con la mitraglia. Infine, insieme ad altri che non cito per brevità, il sottoscritto, ‘ntisu “il Presidente del Club Vitogol”. Come avrei mai potuto scegliere un altro pseudonimo?
Un ricordo su tutti. Campionato 1977-78, quello vinto alla grande dall’Ascoli di Mimmo Renna che alcuni anni dopo avrebbe guidato il mio “Palermo del cuore”. A metà del girone di ritorno, il Palermo è in ottima posizione; vinciamo 2-1 sul campo di Taranto con un gol nei minuti finali di Vitogol. La domenica successiva arriva l’Avellino che poi sarebbe salito in Serie A e che schierava in porta l’ottimo Piotti. Per una volta, l’aprile siciliano inoltrato non ci regala una bella giornata di sole, ma un diluvio che si rafforza all’ingresso delle squadre in campo. Noi siamo lì, con il nostro striscione cucito da Anna legato alla balaustra della balconata della Gradinata dal lato della Sud, colati fradici ancor prima del fischio d’inizio e con altre due orette di acqua, freddo e vento davanti a noi. La palla rimbalza a malapena su un campo lontano parente di quello d’adesso, eppure si parte. “Ma come dobbiamo segnare con un campo così e contro una squadra e un portiere fortissimi?”. E invece, dopo 10 minuti stiamo 2-0 per noi con gol di Majo e, naturalmente, del nostro Vitogol. Passano altri 10 minuti e segna anche Osellame. Ci abbracciamo forte, io e Gabriele, zuppi e festanti in un tempo in cui la felicità era lì a portata di mano, anche se noi non lo sapevamo.
A quest’ora lassù quei miei due amici si saranno già incontrati nel Club rosanero del Paradiso. Gabriele gli avrà ricordato quella vittoria (4-1 alla fine) e Vitogol, pur se finalmente libero dai soliti problemi di panza, gli avrà chiesto, come spesso facevano i giocatori d’allora, due palleggi o addirittura una lezione “a quel prezzo”. Mentre io sono qui a ricordarli e a piangere. Proprio come il cielo cupo di quel giorno felice di una primavera non ancora sbocciata.
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