“Picchio” Masciangelo prenota un futuro rosa: con due “sponsor” speciali

Uno più possente, l’altro agile e longilineo. Entrambi caratterizzati da un gran sorriso e dalla passione per lo sport. Questione di famiglia: Edoardo Masciangelo ha già toccato grandi piazze e attende la consacrazione, Nicolò a calcio ci gioca solo per diletto e ha scelto tutt’altro mondo, quello dello studio. Ma l’ex “Petagnone della Pontina” – così lo chiamano gli amici più cari – al fratellino ha insegnato praticamente tutto, anche ad allacciarsi le scarpette. Il talento poi l’ha messo Edo. “Siamo veramente legati, io l’ho iniziato al mondo del pallone – racconta Nicolò -. Veniamo da un quartiere di Roma Sud che si chiama Acilia”. E ad Acilia le partite tra i parchi e le vie fatte di sanpietrini diventavano veri incontri di Champions: pali alla meno peggio, altezza della traversa indecifrabile, botte da fabbri ferrai e ginocchia sbucciate come trofeo.

Quando avevo 6-7 anni e lui 3-4 lo portavo con me. Ero più grande di lui e i miei amici più grandi di me: c’era enorme dislivello ma quando giocava… non lo prendeva nessuno! Si vedeva che aveva un altro passo. Da lì nacque il soprannome ‘picchio'”. Come un altro romano doc, De Sisti, di cui poi Masciangelo vestirà le stesse maglie, quelle di Roma e Fiorentina. Picchio, trottola in romanesco, già martellava e faceva ammattire tutti. Fondamentali i sacrifici di mamma Angela e papà Stefano, ex giocatore di pallamano arrivato anche in Nazionale, che lo portava a pesca per insegnargli i valori di una vita. Lo sport come pane quotidiano e la famiglia come sostegno imprescindibile e magico: una ricetta imbattibile. “Mio fratello è tutto per me – dice Edoardo in un’intervista sui canali del Pescara -, mi ha dato l’ispirazione ed è il mio riferimento principale. E’ stato lui a incitarmi per primo”.

Da piccolino c’era anche il karate, poi il pallone ha sostituito il kimono e i vari ‘fighter’ a cui ispirarsi sono diventati Marcelo, Kolarov e ovviamente Totti, che per ogni romano è un simbolo imprescindibile quanto il Colosseo. “Per noi della Capitale è un idolo”. Masciangelo passa 10 anni nelle giovanili giallorosse, crescendo insieme ai grandi del calcio italiano. “Pellegrini il più bravo con cui ho giocato”, dirà in seguito. Poi si trasferisce a Firenze per affrontare un torneo Primavera voluto fortemente da Montella che ne aveva notato le qualità.

Ad Arezzo la prima grande emozione con il debutto tra i professionisti di Serie C davanti a tutta la famiglia, contro il Siena nel novembre 2015: le mani sudate e le gambe che tremano di gioia. Merito di Eziolino Capuano che non credeva ai giovani ma credeva in Masciangelo. “Ringrazio tutt’ora Capuano, mi ha permesso di crescere”, ripeterà il terzino come un dogma negli anni a venire. “Montella era un mio ‘figlioccio’, l’ho portato ad Empoli a 14 anni – racconta Capuano che gettò Masciangelo nella maschia dei professionisti -. Lui lo allenava nella Primavera della Fiorentina e mi disse: “Guarda, porta il ragazzo in ritiro e vedi un po’”. Masciangelo era svincolato. Dopo tre giorni gli ho fatto il contratto: dissi che era un giocatore importante, che avrebbe fatto carriera“.

Una vera e propria scoperta. “In Italia pochi lo conoscevano. Ragazzo educatissimo e forte: non ho avuto dubbi nel metterlo dentro subito, era titolare inamovibile. E parliamo di otto anni fa”. Edoardo era appena 18enne quando giocò la sua prima gara tra i pro. “Ora invece è nel pieno della maturità – dice l’ex allenatore -. Fa della corsa, della frequenza di incursione, le sue qualità più notevoli. Ha anche un buon piede. Lo ricordo come un ragazzo serio, applicato e penso che il Palermo col suo acquisto vada a colmare un vuoto che esisteva realmente. Ottima mossa”.

Da Arezzo a Piacenza, dove il suo destino si incrocia con quello di un altro futuro giocatore di viale del Fante, Jacopo Segre. Segnali di rosa e nero. Fu proprio “picchio” a fornire al centrocampista, ora alla corte di Corini, la palla per la sua prima rete stagionale: la gara era Piacenza – Lucchese, finita però 1 – 2. Prove di gol, insomma. In biancorosso arriva “il gol più bello”, anche perché unico della sua carriera, come ricorderà Masciangelo stesso in parentesi ironiche coi giornalisti.

Prestazioni che valgono gli occhi svizzeri del Lugano. Indimenticabile il match contro il Basilea: pareggio combattuto, una caterva di reti (6) e uno stadio come non lo aveva mai visto. Da stropicciarsi gli occhi di quanto fosse pieno e festoso. “C’erano tantissimi spettatori, che emozione”. Edoardo arriva così alla Juventus, esperienza di passaggio: tre mesi che furono troppo pochi per dimostrare il valore in mezzo a tutti quei campioni. In allenamento? Gente come Douglas Costa, suo avversario diretto; Cristiano Ronaldo… e quel Dybala rimasto nei cuori dei palermitani. “Un progetto diverso, sapevo che sarei andato in prestito”. E via al Pescara in uno scambio che vede coinvolto anche… Matteo Brunori. Uno al posto dell’altro: due compagni ‘mancati’ che adesso si sono ritrovati alla corte di Corini. Ai playout di Serie B conquista la salvezza con i biancazzurri realizzando l’ultimo rigore ai danni del Perugia.

Infine la storia recente di Benevento, dove il Palermo lo ha prelevato in prestito, con il consenso del calciatore che premeva per andare via e sposare il progetto targato City (qui le parole di Cannavaro). Sabato 25 febbraio l’esordio in rosa al 32′ minuto della sfida col Sudtirol per sostituire Sala: 67 minuti giocati con intensità per “picchio”, che comincia ad entrare nei meccanismi partita del “Genio”. Nel capoluogo siciliano si possono creare i presupposti per il suo exploit: la società ha comunicato a più riprese la necessità di un anno di consolidamento (poi se arriveranno altri “premi” tanto meglio…) e Masciangelo non ha particolari pressioni se non quelle di fare ciò che sa. A quel punto al Palermo, penna in mano, non resterà che firmare il diritto di riscatto in suo favore. Un’altra storia possibilmente a lieto fine.

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