Palermo, come trasformare il trauma della D in una grande opportunità

Il giorno in cui ho appreso che il Palermo veniva ufficialmente iscritto alla Serie D è stato un trauma. Mai avrei pensato che i colori della mia città avrebbero potuto toccare così tanto il fondo.

La mia prima volta allo stadio il Palermo giocava la Serie B ed era una squadra spedita a conquistare un posto in A che non sarebbe tardato ad arrivare dopo tanti anni. Da quel momento, come tutti sappiamo, la squadra rosanero ha sempre viaggiato a ritmi forti diventando una compagine rispettata e spesso temuta dagli avversari. Anni splendidi quelli. Poi l’intoppo: una fase altalenante tra la B e quella serie A sempre da acciuffare e poi da difendere a fatica con i denti.

Di certo nemmeno il tifoso più pessimista avrebbe mai pensato di tornare giù negli inferi, il passato nero di quegli anni lontani non apparteneva più a questa città. Ma spesso il passato ritorna e così il Palermo si ritrova ancora una volta in una serie che i tifosi fanno fatica ad accettare.

E se ci fosse un aspetto positivo in tutto questo? È un paradosso, ma questa serie sembrerebbe aver ridato quell’entusiasmo e quel senso di appartenenza che nell’era Zamparini, seppure in categoria superiore, si era perso. Ne è un chiaro esempio l’incremento degli abbonamenti, che ad oggi superano quota 9mila, mentre negli anni precedenti viaggiavano su un numero che a fatica superava quota 2mila: una bella differenza.

Ulteriore dimostrazione è stata l’affluenza massiccia dei tifosi in trasferta a Marsala, e ancora di più la magnifica festa al Barbera nella prima partita in casa di domenica, vinta 3 a 2 contro il San Tommaso. Vedere tutta quella cornice di pubblico (quasi 17mila persone) era già difficile da credere in B, ma addirittura impensabile nella categoria attuale. Eppure questo è un bel messaggio: è il messaggio di una città che ha trovato coesione, voglia di rinascita, che ha saputo allontanare i malumori e le divergenze di pensiero che l’hanno caratterizzata negli ultimi periodi.

La proprietà Mirri ha saputo infondere quello spirito identitario necessario per raggiungere degli obiettivi e che da troppo tempo ormai si era perso. Sicuramente la presenza di un proprietario palermitano e tifoso (con il suo posto in gradinata che non ha abbandonato) suscita di per sé pensieri positivi e speranzosi, aiuta a far crescere quel sentimento di collettività e di “patriottismo” che è doveroso non abbia categoria. Ripartire da questo è essenziale.

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