Palermo, gli insulti al “catanese” Mascara non “fanno parte del gioco”

Se c’è qualcosa che ho apprezzato di questo inizio di purgatorio al quale siamo stati condannati è stata la piacevole sensazione del ritorno ai valori del calcio vero e antico. Quello del sudore e anche dei calcioni che noi innamorati del calcio preferiamo di gran lunga a quello degli affari, più o meno limpidi, delle manfrine di procuratori e mercenari e dell’asservimento generalizzato alle solite note.

In questa “merda di categoria”, abbiamo applaudito tifoserie ospiti giunte qui con rispetto ed educazione e giocatori che guadagnano in una vita quello che altri guadagnano in un giorno, ma che in campo non hanno lesinato impegno e sudore per dimostrare di esser degni di poter calcare le stesse zolle di campo su cui un giorno in fondo non lontano poggiarono i tacchetti fuoriclasse del calibro di Totti, Zanetti, Del Piero e, perché no, Dybala, Miccoli e Zauli. È successo alla Favorita con il Licata e con il Marsala, con il San Tommaso, la Cittanovese e tante altre. Avversari da rispettare, non nemici da combattere. Se questo è sport.

Contro il Biancavilla allo stadio, forse per la prima volta, ho avvertito il puzzo insopportabile del “calcio che conta” e ciò è avvenuto quando ho ascoltato i cori offensivi intonati a più riprese da gran parte dello stadio all’indirizzo dell’allenatore del Biancavilla, Giuseppe Mascara. Cosa si può imputare a un uomo che ha avuto una carriera più che dignitosa e che, dovunque sia andato, ha riscosso stima e apprezzamento? Forse il fatto di essere catanese e, legittimamente, tifoso rosso-azzurro? O forse fa ancora male il gol da centrocampo in una delle sconfitte più brucianti delle tante che noi tifosi rosanero abbiamo dovuto subire?

Piuttosto che ricordare le cappellate di Amelia o l’entrata assassina di Mark Bresciano che costrinse il Palermo a tentare la rimonta in inferiorità numerica dal minuto 16 del primo tempo, preferiamo considerare “colpevole” e “figlio di…” un professionista che ha semplicemente fatto il suo dovere esibendosi in un gesto tecnico simile a quello con cui Miccoli uccellò Sorrentino quando questi indossava la maglia del Chievo. Un gesto che noi ancora ricordiamo con rimpianto e nostalgia.

E poi, a voler essere equi, come possiamo aver dimenticato che Peppe Mascara è stato un ex che ha sempre onorato con l’impegno e il sudore la maglia rosanero? Nel primo anno, con Mutti in panchina, fu di gran lunga il migliore dei nostri prima che un grave infortunio in amichevole lo rendesse indisponibile per più di metà campionato; mentre nel secondo, all’alba dell’era Zamparini, fu scambiato con Codrea dopo un girone d’andata più che dignitoso.

Dopo la partita, dimostrando ancora una volta la sua caratura umana e professionale, Mascara ha preferito stemperare le tensioni dichiarando che quei fischi e quegl’insulti “fanno parte del gioco”. Un comportamento che gli fa onore e un po’ diverso da quello del figlio che, entrato nel finale e con le orecchie piene degli insulti al padre e alla nonna paterna, ha pensato bene di emulare un famoso gesto di Francesco Totti mostrando al pubblico della Gradinata una mano con le quattro dita estese.

Esprimo solo il mio parere di tifoso rosanero che ne ha viste tante, ma credo sia corretto scusarsi umilmente con Peppe Mascara proprio per il fatto che questo nuovo Palermo dell’appartenenza, dell’inclusione, dell’abolizione delle barriere allo stadio e dei diciassettemila paganti per una partita di quarta serie, si deve distinguere anche nella capacità di essere “diverso”. Questo Palermo e i suoi tifosi semplicemente non devono “fare parte del gioco”. Almeno se per “gioco” s’intende l’antitesi del calcio e dei suoi valori più veri e genuini; quelli che questa Serie D, che di ignominioso ha solo il nome, sta restituendo a tanti di noi.

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