Addio a Paolo Rossi, “un ragazzo che come me amava il calcio”

Mi è subito venuto in mente Gianni Morandi e il suo celeberrimo ritornello del 1966 stamattina, mentre la notizia della morte di Paolo Rossi, l’ennesima terribile di questo spaventoso 2020 anche se stavolta il Covid non sembra entrarci, mi riempiva il cuore di grande tristezza e infinita nostalgia.

Davanti al computer, vedendo scorrere gli sconsolati commenti, cantavo tra me e me: “C’era un ragazzo, che come me, amava il calcio e faceva i gol”. Naturalmente la seconda parte è dedicata a lui, allo straordinario Pablito, il nome affettuoso con cui lo ricorderemo per sempre. I gol li faceva lui e con i suoi gol è riuscito a stordirci di gioia. All’alba sul mio profilo Facebook ho scritto di getto: “Pure tu, Pablito. Maledetto 2020. Grazie per la grande felicità, le meravigliose notti magiche, soprattutto la spensieratezza che mi hai regalato. Grazie per quel tuo coinvolgente sorriso da eterno ragazzino. Resterai nello scrigno dentro di me dove conservo le cose più preziose e quelle più gioiose”.

E questo è il sentimento comune, quello che credo provano oggi tantissimi italiani nel nostro Paese e nel mondo che hanno amato questo grande campione del calcio, che ha scritto pagine memorabili della storia dello sport più popolare, che ci ha preso a braccetto accompagnandoci nel vertiginoso tunnel dell’entusiasmo in giornate della vita che mai potremo dimenticare. È icona di felicità e di gioia di vivere Paolo Rossi, il nostro carissimo Pablito: e oggi, in quello che è uno dei periodi più tristi della nostra esistenza, anche nell’ora della sua morte quel suo fantastico e fanciullesco sorriso riesce a coinvolgerci.

Ma per me c’è dell’altro e non è il ricordo scontato e pur sempre meraviglioso, che in questi minuti riempie televisioni, web e social, dei suoi tre gol pazzeschi contro l’immenso Brasile il 5 luglio del 1982, dei due della semifinale dell’8 luglio con la Polonia, di quello segnato nella mitica finale dell’11 luglio allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid che consegnò all’Italia impazzita il titolo mondiale del calcio; della favola sportiva e umana di questo ragazzo educato e gentile, dalla faccia pulita, solo parzialmente sporcata nell’immaginario collettivo dal suo coinvolgimento nello scandalo del calcio scommesse dal quale era riemerso pochi mesi prima del Mundial. Un campionato trionfale in quello che quell’anno, il 1982, fu per Palermo un periodo tragico, drammatico segnato dagli omicidi La Torre e Dalla Chiesa e in cui la festa popolare per la Coppa del Mondo fu una meravigliosa parentesi.

C’è qualcosa di più e di personale: Pablito era proprio un ragazzo come me. Era nato a Prato il 23 settembre 1956, aveva 64 anni come me, anzi era più piccolo di un paio di mesi. Aveva coltivato sogni e aspirazioni della mia generazione e ne era diventato un idolo con la sua incredibile storia fatta di gol e successi davvero sensazionali. Era un mio coetaneo del quale ero, eravamo orgogliosi: il calcio gli diede fama e gloria per sempre, le sue prodezze, vere e proprie “perle”, le abbiamo raccontate a tanti più piccoli di noi, fino a quando la tecnologia non le ha custodite e valorizzate, dando a tutti la possibilità di riviverle e gustarle ogni momento nelle proprie case, come sta certamente accadendo in queste ore che fanno riaffiorare dentro tutti noi i fantastici ricordi del trionfo mondiale della nazionale di Bearzot, di Zoff e compagni, della bambinesca esultanza del grande vecchio Sandro Pertini sulle tribune del Bernabeu. E anche delle indimenticabili, davvero magiche serate di ubriacante gioia prima nelle case, con i nostri cari che per molti di noi non ci sono più, poi nelle strade a fare casino per festeggiare le vittorie della grande Italia.

E ancora e dulcis in fundo, Pablito per me è ancora altro e mi piace moltissimo scriverlo qui, su questa pagina di memoria e di attualità che ci riporta al nostro grande giornale L’Ora. È nostalgia di giorni di lavoro appassionato ed entusiasmante in redazione, insieme a carissimi compagni di lavoro e amici della vita, a seguire da lontano ma sentendolo vicinissimo il cammino della Nazionale fino alla vittoria e alla Coppa del Mondo alzata nel catino dello stadio madrileno. Su quelle bellissime giornate della nostra vita, che oggi ci sembrano ancora più belle in confronto a quelle orribili che stiamo vivendo dentro le nostre case, Paolo Rossi, il leggendario Pablito, appose la sua firma fatta di gol e gesti sportivi che restano scolpiti per sempre nella storia del calcio. E anche e soprattutto della nostra storia. Per tutto questo, gli sono e gli sarò infinitamente grato. Ciao, Pablito.

LEGGI ANCHE

È MORTO PAOLO ROSSI, AVEVA 64 ANNI


1 thought on “Addio a Paolo Rossi, “un ragazzo che come me amava il calcio”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *